Thursday, February 14, 2019

Essere l’uomo di se stesse ovvero di come imparai a pescare le carpe koi nel fiume della mia disperazione


San Valentino, capodanno di ogni single. 
Tra una spernacchiata in faccia al passato e una bevuta di Gin tonic, si manifestano i propri buoni propositi e per caso capita che anche io ne abbia qui uno. Detto in parole povere il fatto è questo: che voglio imparare una volta per tutte ad essere l’uomo di me stessa, cosa che - non me ne sono mai resa conto - sono sempre stata. 

Sono stata il mio stesso uomo per un tempo imprecisato. Ci ho provato con me stessa MA ho fallito miseramente. Come sempre succede in questi casi era l’approccio ad essere sbagliato ed era il savoir faire a mancare. Sbagliavo il metodo cercando di imitare un uomo. In pratica non ho pisciato seduta e me la sono fatta sui piedi.
San Valentino è arrivato. Io non avrò nessun esemplare maschile che sgancerà una sudata dose di euroni per prodursi in una danza dell’accoppiamento straordinariamente banale.  

Cosa posso farci io se mi regali rose e mi torna alla mente quella lapide color cipria che ho visto al cimitero di Pioraco nel 1997? I fiori recisi odorano di camposanto e io non sono una croce piantata a terra. Cosa dovrei dirti dopo essere stata in una bettola a mangiare pizza ed aver scopato male in una macchinina scassata? Che in fondo sì, come vedi mentre tento di rinfilare il tanga contorcendomi tra i sedili, Disney mi ha proprio costruito un ideale sbagliato del complesso meccanismo dell’innamoramento.
Che “eh sì, Disney, quel nazista”. SARAI BRAVO TU, COGLIONE.

Sebbene io mi renda conto di quanto le perdite possano sembrare ingenti, in questo scambio vi garantisco che c’è tanto da guadagnare. Intendo nello scambio coppia > solitudine. La verità sul guadagno personale di una donna l’ho detta tempo fa e nessuno l’ha ancora incisa sulla pietra. “Sono come l’arte moderna, non vado capita, vado finanziata”. Probabilmente me ne occuperò io di inciderla. Sulla mia pietra tombale. Allora potrete portarmi fiori. Ma non rose grazie, solo peonie.

Libertà e solitudine sono le due facce della medaglia che ti conquisti sul campo della sfiga amorosa. Va benissimo così. Sfoggiatela pure, quella merda di medaglia, siatene fieri perché non tutti sopravvivono. Certi si ammazzano a vicenda o da soli per disturbo post traumatico da stress. La libertà e la solitudine vanno coltivate e ognuno lo fa a modo suo, come un contadino con le carote biologiche. O le melanzane biologiche. O tipo quei semi di pomodoro che vendono al supermercato. Nessuno può venirvi a dire come coltivare i vostri pomodori da supermercato.

Essere l’uomo di se stesse per me, oggi, significa essere complete così come si è. Un’unità di spirito e corpo, di libertà e solitudine. Un abbraccio malinconico ma consapevole. In questa unità completa ed armonica non c’è proprio materialmente spazio per le voci di critica sterile. Oddio dove devo metterlo il tuo “NON BRUCIARE I TEMPI”? Lo vedi che dove dovrebbe esserci un sentimento ho già sei divani, quindici sedie e sette camini? E questo “DEVI PRENDERTI IL TEMPO DI STARE SOLA” lo capisci che non ci entra nel mio cuore che è un monolocale in subaffitto a 3 punkabbestia dell’accademia di belle arti?

Sono l’uomo di me stessa vuol dire che possiedo il mio spirito e il mio corpo, rido nella mia libertà e piango nella mia solitudine. Ma sono intera, nella gioia e nel dolore finché morte non mi separi. Mi conquisto ogni giorno e mi meraviglio della donna che sono. Mi arrabbio per la donna che potrei essere e che forse non sarò mai. Mi amo, ma non sempre, perché sarei stucchevole. Mi disprezzo, ma meno di un tempo ed è già un bel passo avanti.

Non sto parlando di egoismo, non lo farei mai, né di quel mortifero assunto per cui “prima te stesso e poi gli altri”. Ma per carità, ma quanto sei volgare. Datti un tono, cazzo e vai a mangiare brioches. Se ti dai una calmata capirai che sto solo dicendo che nessun uomo andato tornerà mentre tu vivrai con te stessa per sempre quindi sposa te stessa.

Se la vita ti dà limoni pensa alle proprietà detox del nobile agrume e rendi proficuo quel fiume di disperazione che ti porti dentro. Spremi dentro la fresca acqua di fiume quei cazzo di limoni e diventa bella. Pesca le carpe koi in quel tuo fiume di disperazione. 
Il pescetto in questione è un animaletto serio che nuota controcorrente. Per questo a lui hanno dedicato leggende giapponesi e a te no, perché è simbolo di perseveranza e fedeltà.
Oh, anche io voglio essere una leggenda. Un sito internet con immagini molto giapponesi tipo questa:



 dice che la leggenda sulla carpa koi ci vuole insegnare che quel pesce è legato alla forza di volontà ed al cambiamento in positivo le quali sono cose che, dopo sforzi e sacrifici, permettono di arrivare a grandi imprese.

Se poi un uomo verrà, questo nessuno può dirlo, o almeno non io. Vorrà dire che gli farò posto sul ciglio del fiume e pescheremo insieme le carpe koi. Poi le libereremo, perché non saremo assassini ma compagni di pesca.

Tuesday, May 1, 2018

KEIKO NOBUMOTO & YOKO KANNO - The anime girl gang of two

Come sempre accade quando si parla di anime, tutto ha avuto inizio con Akira.
Questo potere dirompente e pauroso su di me ha avuto degli effetti reali, sfondando a due piedi la porta di un'area vastissima e chiusa da sempre.  
Katsuhiro Otomo e da lì gli anime, i manga e il Giappone.
Akira, in fin dei conti, per me grande lo è stato davvero.


Ma è solo tra i titoli di coda di questo capolavoro del 1988 che riuscirete a leggere i nomi di una delle due donne di cui vi voglio parlare oggi. 

KEIKO NOBUMOTO

Keiko è una donna che riesce a mettere da parte i maschi nel suo settore. Ha due coglioni grandi come igloo, la ragazza. Nasce ad Asahikawa nel 1964 e ha solo 24 anni quando lavora come assistente alla produzione di Akira. Per ora ricordatevi questo e iniziamo a lasciare da parte Otomo un attimino.
Trovare informazioni su di lei è più difficile di far capire al mio chihuahua che la paura del buio non è una buona scusa per cacare in mezzo al corridoio.
Si laurea all'Asahikawa high school. In infermieristica. Dopo aver lavorato per due anni come infermiera presso l'ospedale affiliato entra in una società di produzione di anime. Nel 1989 vince un qualche mistico premio dal nome "3° FUJI SCENARIO AWARD" con "Blue vaccine to heart".  Debutta come sceneggiatore in "White line sink" (1996) di cui vorrei fornirvi diapositive ma raga apparentemente Internet è affondato. 
Vi avevo detto di mettere da parte Otomo: bene, ora riprendiamolo alla svelta. Nel 1991 è con lei che Otomo scrive World apartament horror. Lui il soggetto, lei la sceneggiatura. Film in cui recita anche il regista di Ichi the killer. Si tratta di una commedia horror tratta dal primo dei quattro racconti contentuti nell'omonima opera di Satoshi Kon. Bene, sapete una cosa? Mettete da parte anche Kon, per cinque minuti, prima di tornare a volergli bene.
Passano 3 anni e scrive Macross plus, una serie mecha/ sci-fi. È con questo film che la sua storia si intreccia con la seconda eroina di oggi:  la musicista YOKO KANNO. Ma parleremo di lei a tempo debito. Con una valutazione che si attesta, su ogni sito del settore, sulle 4 stelle e un 7.9/10 di Imdb, la nostra Keiko incassa un altro successo, ma la strada è ancora lunga.
Nel 1998     K E I K O   F A   I L   B O O M  e scrive COWBOY BEPOP, la cui musica, indovina indovinello, è dei Seatbells. E i Seatbells sono il gruppo di? Esatto. YOKO KANNO. 
COME FAI A NON VOLER BENE A DUE DONNE CON STA MITOPOIESI DICO IO.




Arriva il 2003 ed è il momento di riprendere Satoshi Kon, che avevamo lasciato da parte nel '91. Insieme al bello scrittorino di Sapporo realizza Tokyo godfather che vi invito a recuperare se non lo avete già fatto. Vi invito a recuperare tutto ciò che Kon, morto decisamente troppo presto di cancro al pancreas nel 2010, ha fatto. L'anno successivo la Nobutomo parte a raffica con Samurai Champloo, che guarda un po' ha caratteri comuni con... Cowboy Bepop. Non solo il regista in entrambi i casi è Shinichiro Watanabe ma la struttura degli episodi è simile. Anche la musica sembra darsi un costante rimpallo tra l'uno e l'altro: jazz, hip hop, lofi. Tra le canzoni di Samurai Champloo troviamo anche i Gramatik e vabbuò, come direbbe Schettino.
Nel 2002 entra anche nel mondo videoludico grazie a Kingdom Heart. Ha supervisionato il lavoro di tre uomini (Nojima, Watanabe, Akiyama) affinché fosse soddisfacente per gli standard della Disney. AH, I MASCHI.



YOKO KANNO


Nasce nel 1964 nella prefettura di Myagi. Studia il pianoforte da quando ha 4 anni e, a differenza di me e voi, si forma musicalmente anche a Parigi. Si laurea all'università Waseda.
Nello stesso anno in cui Keiko inizia a scrivere, cioè 1987, lei entra nel gruppo 100% METALLO.  PERCHÉ LEI È TOSTISSIMA. Nello stesso anno inizia a collaborare con la Koei che deve essere una cosa di videogiochi ma non chiedetemelo, io conosco solo Kojima al momento. Due anni dopo i 100% METALLO si sciolgono quindi mi sa che la temperatura deve essere stata molto alta quell'anno.
Kanno compone quindi musiche per videogiochi, serie tv e pubblicità. 
Yoko, mannaggia a lei, si sposa con un musicista ma niente paura, hanno già divorziato nel 2007. Insieme scrivono la musica di Escaflowne e Proteggi la mia terra.
Nel 2002 scrive per i Ghost in the shell diretti da Kenji Kamijama (art director assistente di Otomo in Rojin Z).
Per registrare la colonna sonora di Cowboy Bepop la Kanno riunisce un gruppo di 14 elementi: The seatbelts. 
Il gruppo fa jazz e blues e prende il nome da una particolare jam session hardcore, durante la quale tutti i componenti indossavano cinture di sicurezza. La band è prettamente musicale e manca di un cantante principale, ruolo che viene rivestito alternativamente da Steve Conte e Mai Yamane. I componenti si sono riuniti nel 2004 per comporre la colonna sonora del videogioco dedicato a Cowboy Bepop. 
Molti musicisti hanno seguito la Kanno in altri progetti successivi, come Suneo Imahori che è anche autore delle musiche di Trigun.  Nel 2005 Yoko è stata assunta dalla Gravity corporation per creare la colonna sonora di Ragnarok online. 
Dopo aver realizzato le musiche per Macross plus nel 1994, l'anno successivo compone alcuni dei più bei brani per Memories, di Katsuhiro Otomo (come vedete da Akira si parte e ad Akira si torna). 



Wednesday, February 14, 2018

San V. o "Di quella volta che feci Araki(ri) senza morire"

Negli scorsi anni mi sono sgolata a ripetere quanto questa festa sia banale e - a differenza di quasi tutta la mia vita - non intendo contraddirmi. 
Penso ancora che il San Valentino viaggi tra il grottesco e il commerciale al pari delle chiappe di Kim Kardashian ma chi sono io per giudicare???
Quindi festeggiate, se proprio ci tenete, ma non prendiamoci in giro.
Chi ha l'amore lo festeggia ogni giorno, oggi è grossomodo la festa del sesso. 
Il che va benissimo purché sia consensuale, legale e, last but not least, protetto.
Non so se abbiamo lo stesso concetto d'amore ma se vi interessa un uomo che ama a tal punto la propria moglie da fotografarla dentro ad una bara possiamo andare avanti. 
Allora vorrei arrivare dritta la punto con un tema scomodo quanto un trono fatto di spade fuse insieme. Che idea del cazzo, manco il design d'interni di De Lucchi o Dorata. Vabbè.


Il tema di oggi è la fotografia erotica giapponese, nello specifico: Araki Nobuyoshi e Daido Moriyama nella collezione Eros or something other than eros. 


ARAKI NOBUYOSHI
Penso abbia visto più vagine lui in un anno che un ginecologo a fine carriera. Come tutti gli animi candidi, anche lui si esprime attraverso le porcherie più bieche. Tipo fotografare le donne durante le pratiche di kinbaku. Oggi è un tipetto tranquillo di 78 anni che ha collaborato con Vogue, Dazed e Supreme ma soprattutto ha amato una sola donna, sua moglie Yoko, morta nel 1990 di cancro alle ovaie. 
L'ha immortalata in tutti i momenti di vita vissuti insieme, dall'orgasmo alla tomba, dalla vita alla morte. E non so immaginare un amore più grande. 感謝 Mr.Nobuyashi.





DAIDO MORIYAMA
Coetaneo di Araki, classe 1938 e uno spirito libero che per trovare un paragone occidentale dobbiamo richiamare alla testa quel girandolone di Kerouak. Daiddino come lo chiameremo noi che gli vogliamo bene (perché non si può non voler bene a uno così), famosissimo per essere un fotografo di strada, esce nel 1969 con EROS OR SOMETHING OTHER THAN EROS di cui il signor Enzino ci mostra qualche diapositiva:






Tuesday, February 6, 2018

Call me by your name

DISCLAIMER: vedetelo in original version. 
Se abitate nel Suburbs avete appena perso questa possibilità. Dall'1 al 5 febbraio infatti lo davano al cinema Margherita mentre l'Uci del Palariviera, almeno per il momento, non ne ha traccia. Scrivo ascoltando la ost del film su Spotify fingendo, con buon profitto, di conoscere ogni pezzo 


La filosofia scolastica era solita uscirsene con sparate tipo "ens, verum, bonum et pulchrum convertuntur in unum" (l'essere, il vero, il buono e il bello convergono in unità). Dove c'è la bellezza non può mancare la bontà: essere belli e buoni è la stessa cosa. Questa premessa è necessaria per affrontare Call me by your name, il nuovo film di Luca Guadagnino. 

Prendiamoci un attimo per parlare del regista. Vi posso snocciolare almeno tre motivi per cui voler bene a questo quarantaseienne palermitano. 
In primo luogo la disinvoltura e la gentilezza con cui mette su le camicie legandole fino al bottone più alto del collo; è un dato che va sempre apprezzato negli uomini.
In secondo luogo perché tra i suoi attori feticcio ci sono anche miei attori feticcio, e.g. Tilda Swinton.
Il terzo motivo è la sua mostruosa crescita che, in funzione del karma, auguro a me e a voi con i giusti tempi.  


Nel 1999 esce con THE PROTAGONISTS, un docufilm (che già secondo me nel 1999 è un punto a suo favore) su un caso di cronaca. C'è Tilda Swinton bella splendente come un astro del firmamento. 
Nel 2000 dirige il video di VAMOS A BAILAR ESTA VIDA NUEVA. Voi dovete capire che io sono totalmente impazzita. Internet è pieno di persone che sono NATE quell'anno. Ebbene io avevo 10 anni, e già mi sembrava di averne alle spalle 100, quando uscì quella canzone che è un po' la Spice up your life italiana. Poi la prossima volta magari parliamo delle basi della musica classica, anche grazie alla reunion delle Spice. 
Se mai vi foste chiesti CHI CAZZO È CHE HA DIRETTO IL FILM DI MELISSA P., ecco, signori miei, ora avete la risposta. Luca Guadagnino, nel 2005. Io sono sconvolta quanto voi perché comunque non esistono che eroi neri in questa vita. E io come una fessa ogni volta provo a convincermi del contrario.  
Nel 2013 mi torna la fiducia perché comunque avevo trovato un ragazzo e poi perché Guadagnino è tra i produttori di BELLUSCONE - UNA STORIA SICILIANA girato fa Franco Maresco . 
Dopo questi anni di confusione, ecco il capolavoro: LA TRILOGIA DEL DESIDERIO.
2009 - Io sono l'amore
2015 - A bigger splash
2017 - Call me by your name 

Vorrei precisare che nel 2009 ero totalmente impazzita per IO SONO L'AMORE. Ma impazzita, mi capite? Come quando vedi Titanic quattro volte al cinema o ti spari i Tenembaum per la 37esima volta. Ha ricevuto nomination a secchiate. A bigger splash non sono mai riuscita a reperirlo quindi se lo avete in dvd o bluray potremmo vederlo a casa mia se vi va. La chiusura della trilogia è affidata alla trasposizione di un romanzo del 2007 di André Aciman che quasi sicuramente leggerò, sperando di reperire un'edizione senza scene del film in copertina perché, dai, è proprio brutto quando le case editrici lo fanno. 
In questo caso sarebbe ancora più brutto perché significherebbe sputtanare qualcosa che nasce con uno spirito pulito. La pellicola non fa mai la puttana, cioè non compiace un piacere dello spettatore per il solo fatto di aver pagato il biglietto. Non ha niente di politico o autocommiserativo. È un film di raro garbo. Intendo dire che è proprio una pellicola gentile con lo spettatore e si propone quasi come una educazione sentimentale.
Intendo una vera e propria formazione ai sentimenti in cui l'unico precetto è: ama e, se non puoi amare, goditi la vicinanza che un altro essere umano ti concede perché è la punta più alta che la vita tocca.

Parliamoci chiaro, nel film di sesso ce n'è, non è che parla di arcangeli, troni e dominazioni.
Il fatto però è che il titolo e il contenuto sono particolarmente legati. Chiamami con il tuo nome è un altro modo di dire, anche allo spettatore: quello che tu chiami amore è solo il nome che dai tu, ma non è che vale per tutti. Del tipo, ciccio calibrati l'ego che se pensi che tutto giri intorno a te hai solo battuto la testa. 

Ci sono poi dei momenti in cui, pur parlando di una realtà diversa dalla mia, posso immedesimarmi ad un livello di profondità imbarazzante.
Tipo il silenzioso pianto finale. Raga sono io a 17 anni ma pure tipo a 27 quando devi andare avanti anche se dentro c'hai Nagasaki. 
CMBYN merita tutti gli Oscar per cui è nominato ma merita l'ulteriore premio di essere proiettato in ogni scuola della Repubblica. È più educativo di ogni ora di matematica o geografia che io abbia seguito in vita mia. Vabbé che non so quante ore ci vogliono per arrivare da Milano a Roma andando a 130 km/h però si sopravvive. 


Thursday, January 25, 2018

Chi ha paura di Virginia Woolf?


LEGGERE VIRGINIA


"L’onnipotente guarderà San Pietro e gli dirà, non senza traccia di invidia nel vederci arrivare con i nostri libri sotto il braccio: “Questi non hanno bisogno di ricompensa. Qui non abbiamo niente, per loro. Sono quelli che amavano leggere"

V.W.



È nel giorno del compleanno di una delle mie donne preferite di sempre che vengo a scoprire come ancora nel mondo ci sia bisogno di saper scrivere ed esprimersi. 
Quando scrivo "mondo" non intendo quello dei 7 continenti che ogni 4 anni si sfidano a colpi di botte nei giochi olimpici mascherando con la scusa dello sport uno spirito belligerante mai sopito tra gli esseri umani. 
Quello è il pianeta che conoscevate e non esiste più.
No, sto parlando di un mondo che ci è molto più vicino di quello reale, il mondo di Internet. 
È qui che scriviamo e stringiamo rapporti. Casa nostra è qui. 
Certo, Google, sei proprio intelligente a ricordarmi che "se Virginia Woolf fosse viva avrebbe 125 anni" (che frase imbecille), ma non vorrei per lei le sofferenze di una tanto lunga vita. 
Io ho 28 anni tra due settimane e, signori miei, che dolori alla schiena che ho!

Ad ogni modo leggere Virginia è stata una delle esperienze più forti di cui ho memoria. Non scriveva per tutti, non se ne faceva niente del parlare per tutti. Ricordo un passo di "How Should One Read a Book?" dove lamentava la carenza di doti belletteristiche di un suo vecchio studente ad un corso di scrittura creativa. Raccontava di come questo dovesse per forza inserire in un racconto breve Marx e il capitalismo. Era sprezzante, sì; psicotica, d'accordo, ma sapeva scrivere. E sa Dio se non vi basta leggere Gita al faro per sondare dentro ogni vostra malinconia.

Non dico che ti basta saper mettere insieme due litri di inchiostro che tutto ti viene perdonato, ci mancherebbe. Sto solo dicendo che Virginia, a 125 anni e tutti gli acciacchi di cui sopra, vi staccherebbe le vertebre come grani del rosario se leggesse la vacuità della poltiglia che postate nel web.
Sono circa due giorni che i social sono impazziti di brutto per una battuta scritta su internet da un ragazzo diventato famoso proprio qui, su internet, per fare fumetti. Deve essere dura quando la ciurma si ammutina. La battuta è stata molto, molto infelice ma non entro nel merito perché le brutte figure sono incendi e devi togliere ossigeno alle fiamme per farle morire. 
Io questo ragazzo l'ho incontrato, per intervistarlo, una volta durante la presentazione di un suo libro. Mi aveva lasciata di stucco la cristallina noncuranza con cui ammetteva di non leggere. Si riferiva ai fumetti ma tant'è. 

Poi oggi scrollo la sua pagina personale di Facebook e leggo delle scuse che, forse, peggiorano una situazione già grave. Perché scritte male e con uno spirito, ancora una volta, di noncuranza cristallina che sfiora la sicumera. 
Dividere frequenter, dicevano i latini e ora non fatemi fare la parte della boriosa che sa il latino se vi dico che anche nell'arte occorre distinguere. Dividere la persona dal prodotto.

Perché Virginia era matta, ma i suoi libri parlavano per lei. E invece questo ragazzo è un ragazzo, vuoto o pieno che sia, ma il suo prodotto non parla PER LUI. Parla ALLE persone senza dire niente. Ma non è il ragazzo, è il prodotto del ragazzo e per quello andrebbe giudicato. Il prodotto è banale con punte di meschinità, ma ancora una volta, togliete ossigeno a ciò che non vi piace. Alzate il livello, aumentate la difficoltà. Sempre.
Altrimenti il vostro risultato sarà quello di una persona che scrive di tutto e male, convinto di essere esso stesso l'oggetto di desiderio. Non vogliono te, vogliono le tue battute e tu gliene devi fornire, da dentro il tascotto della Napapiri come Blue meth, sempre e sempre di più. Ma se non leggi la tua coperta è molto corta e quando finisce si scopre la tua nudità, volgare e vulnerabile.

Le battute infelici, seguite dalle scuse cialtrone (accettate, ben inteso, ma pur sempre cialtrone) sono il risultato di chi non legge e non vuole leggere. E dovreste avere paura di Virginia Woolf, perché sta arrivando per sgranarvi le vertebre. 





Sunday, January 7, 2018

Di cinema e fluidi corporei

Vi ricordate quella belle époque in cui si andava al cinema per ravanarsi col tipo o limonare? No? Neanche io. Non ho sessant'anni. Al cine ho solo lacrime amare o travasi di bile. Una triste storia vera




Nel Suburbs dove vivo durante la splendida bolla degli anni '90 erano attivi ben due cinema. Al di qua e al di là di un sottopasso c'erano questi multisala (ad onor del vero multi = 3/4 sale a testa) che si sfidavano a colpi di capolavori Disney e mega produzioni hollywoodiane tipo Titanic.
Sì, vidi Titanic 4 volte come tutte le persone normali. Due volte in ciascun cinema. 
Ma con lo splendore pre - millennio se ne sono andati anche i due cinemini di periferia.
Oggi nel suburbs dove ancora abito e resto, volente o nolente, abbiamo ormai solo due bug di sistema enormi. Ancora quei due posti, a distanza di anni, non hanno un'identità definita. Una cosa è certa: il grande multisala (stavolta multi = 8) del gruppo Uci. 
Ora non so negli altri Uci ma nel caso del mio Suburbs questo posto è una specie di Hub per il volano economico di provincia dove confluiscono
- una pizzeria
- una paninoteca
- una scuola di danza
- un corso per chef
- una hotdoggeria
- una sala giochi
- uno showroom d'arredamento di interni

BIG MOVIES
BIG MONEY?

No. Solo una big sfiga che ti fa la riverenza. 
Perché qua non ci capiamo più niente con il concetto di entertainment. 
Il prezzo dei biglietti nel giro di 10 anni è quasi raddoppiato per sostenere una macchina di Rube Goldberg che ti fa venire voglia di chiudere con lo showbiz e aprire un bel libro. O fare una sciarpa ai ferri. O farti una bistecca ai ferri.

Ieri volevo vedere Coco della Pixar. E per vederlo l'ho visto. Ma che fatica, signori miei. Nel mio cinema, ASSOLUTAMENTE NON di fiducia, i film iniziano CIRCA 25 minuti dopo l'orario di programmazione. Dici: "È lo show biz ciccia". Ok ma allora provate a dire al vostro capo che inizierete a lavorare con un ritardo stimato di mezz'ora. Ogni volta. Ogni giorno.
A QUESTI LIVELLI NON È PIU' SHOWBIZ, È PIGRIZIA. 

Prima del film in questione non era prevista solo la solita piacevole carrellata di trailer e quella meno piacevole di spot di attività locali, ma anche un corto della Disney.
Ora, non sono una che guarda i cartoni da ieri, sono ben svezzata ai corti Pixar e al Disney pre show ma quello che è successo ieri è stato come una trombosi al mondo dell'intrattenimento. 

Erano già trascorsi 30 minuti di pubblicità quando è partito il cortometraggio di Olaf, dolce pupazzo di neve che attualmente vorrei prendere a picconate con la stella del mattino giusto prima di passare in rassegna il capitolo: "torture medievali" del mio libro di storia. 20 ABERRANTI MINUTI DI CANZONI MELENSE ED INSIGNIFICANTI. Raga, davvero, fuori da qui rispetto l'opinione di tutti ma qui siamo nel mio blog e posso sbilanciarmi in comodità per dirvi che se già Frozen è debole (seppur con punte brillanti), quello specifico corto di Frozen è UNO SCHIFO. NON FATELO VEDERE AI BAMBINI PERCHÉ DISIMPARANO AD USARE IL VASINO. I BAMBINI REGREDISCONO AL LIVELLO DI GIRINI. 

MORALE DELLA FAVOLA? UN FILM SEGNATO IN PROGRAMMAZIONE PER LE 22.30 È INIZIATO ALLE 23.17.
E A MEZZANOTTE HANNO ANCHE AVUTO LA DABBENAGGINE DI FAR PARTIRE IL BREAK DI 5 MINUTI PER PRENDERE CAFFÈ E POP CORN.
NON - CI - SONO - GIUSTIFICAZIONI
Allora mettiamo in chiaro che non vado al cinema per trastullarmi col mio ragazzo o pomiciare, i sogni sono una cazzo di cosa seria. Per darci di più ci danno di meno. Datemi un film altrimenti avrò un travaso di BILE.

Il film, che forse i più tra voi avranno dimenticato (ma anche io alla decima canzone di Frozen non ero più tanto certa di cosa fossi andata a vedere), vi ricordo era Coco della Disney/Pixar. Non voglio fare spoiler, non voglio far salire vertiginosamente l'hype e rovinarvi la pellicola ma vi suggerisco di vederlo. Ve lo consiglio soprattutto se vi piace quando questi film d'animazione fanno partire l'up and down di sentimenti. 
Di solito io rido, piango, mi bevo le mie stesse lacrime e non so più se l'amaro in bocca è il mio pianto per il film toccante o la bile per l'orrido corto di Frozen. 

Nonostante lo schifo rappresentato dall'identità del cinema di periferia, che per quanto grande nelle dimensioni, non esce mai dalla categoria "cinemino", l'esperienza resta. Esperienza dello schifo ma esperienza. 

Monday, December 18, 2017

Ratigher e i superamici: volersi bene, volersi meglio

Solo il salto mortale è un salto, solo lo stupore dello stupore è vera meraviglia





La prima volta che ho sentito parlare di Ratigher, alias Francesco D'Erminio, è stato per una figura di merda. Mia, ça va sans dire. 
Gli scrissi per regalare al mio ragazzo una t-shirt di Bimbo fango a cui ancora oggi sono molto legata per il cumulo affettivo/aneddotico che ci si è posato sopra. Non sapevo si chiamasse Francesco, così gli scrissi una mail con la stessa proprietà di linguaggio di un bambino che a sei anni scrive a Santa Claus. Iniziava con un "caro-Ratigher-virgola-a-capo" che speravo sarebbe stato perdonato con indulgenza. 

Sono tanti i modi per parlare bene di un autore e, sebbene sia molto in voga definire le persone "vere" e "buone", è bene pensare alle tante categorie che si dimenticano ogni volta. 

Quindi, pur essendo inevitabile riferirsi a Ratigher come ad un "buono" scrittore e fumettista"vero", è fondamentale stabilire fin da subito la qualità e la fibra del suo lavoro. 
E ricordare come, a suo tempo, sia stato indulgente.

Mentre scrivevo questo post ho mollato tutto e mi sono messa a vedere la settima puntata di una delle più belle stagioni dei Simpson, quella che andò in onda quando avrò avuto grossomodo 4 anni. Bart's inner child. Grazie a questa puntata Francesco decise di chiamarsi Ratigher. Vi lascio il video, in modo che possiate godere di quei beati venti minuti di gioia e scoprire quando, dove, come e perché viene fuori Ratigher. 
Non fate i vermoni, però. Se non lo sapete non cercate su google, niente soluzioni a pag. 46!

Attorno ai primi anni 2000 Ratigher è nel gruppo dei Super amici insieme a Dr. Pira, Lrnz, Maicol e Mirco e Tuono Pettinato. Come suggeriscono i siti porno sui metodi per enlarge your penis, "you must live under a rock" per non conoscerli ma se non li conoscete siete sempre in tempo, non scappano! 

Un fatto che mi ha molto colpito è che tra i principi dei Super amici c'era l'idea di creare fumetti che fossero pubblicabili e vendibili. O meglio che facessero venir voglia di essere comprati. L'affetto verso i (super) amici viaggiava insieme al perfezionamento tra artisti che in questo modo hanno costruito proprie simbologie, mitologie e stili.
Ratigher pubblica per Vice la rubrica Intanto altrove , scrive e disegna fumetti e, nel 2017, diventa direttore editoriale per Coconino, impiego che non gli concede più tutto il tempo e lo spazio per disegnare quanto vorrebbe. 
Nonostante questo, il 7 novembre, esce Fortezza pterodattilo.

La raccolta contiene racconti degli scorsi anni e due storie, una in apertura l'altra in chiusura, scritte e disegnate di recente, tra i tanti impegni di Ratigher nella casa editoriale bolognese.

Le storie espugnano (e vincono contro) la "fortezza" con trappole ad ogni nuova stanza che il lettore visita. 
"Mi piace, di te - confida l'amico Maicol Rocchetti - che sei interessato a ciò che accade dietro alla porta, non davanti".
Non solo vero e bravo, dunque, ma anche competente e mai banale. 

Ma perché Pterodattilo? Preferirei che, se avrete intenzione di approcciare questo bel libro, lo trovaste voi per voi il perché. Le parole dell'autore, per dovere di cronaca, portano lontano. Con un altro mezzo - la musica - e ad un altro genere, il noise rock. "Ho ascoltato l'album Lacrima/Pantera dei Death of Anna Karina e ho voluto provare a sorprendere con una doppia sorpresa".

Giacché è sorpresa solo lo stupore dello stupore. Come se solo il salto mortale fosse un vero salto.